Notizie

Solennità di San Vincenzo

24 Gennaio 2025Ravvivare i segni di speranza

Omelia nella messa della solennità di san Vincenzo, diacono e martire
Chiesa Cattedrale di Ugento, 22 gennaio 2025.



Egregi Sindaci,
gentilissime Autorità civili e militari 
cari sacerdoti, diaconi, consacrati e fedeli laci, 

nel contesto del cammino giubilare, la festa di san Vincenzo è un invito a ravvivare la speranza. Il Giubileo 2025 non riguarda solo la vita della Chiesa, ma ha una forte rilevanza missionaria e sociale perché tutti in qualche modo sperano, anche se si possono incontrare persone sfiduciate e pessimiste. Nell’odierna “policrisi” (ecologica, economica, politica, sociale, culturale, spirituale) occorre far luce sul bene presente nel mondo per non lasciarsi irretire dall’idea che siamo sopraffatti dal male e dalla violenza e dare nuovo impulso e slancio alla speranza per trasformare i segni dei tempi in segni di speranza.  

San Vincenzo è simbolo di una speranza vittoriosa di fronte alle avversità della vita. Secondo Prudenzio mentre egli stava in carcere con i piedi imprigionati nei ceppi, all’improvviso la stanza s’illuminò; strani profumi sostituirono i fetidi vapori; il suolo si ricoprì di fiori; si spezzarono i ceppi e le catene; si udì il battito di ali angeliche, e il martire ricevette le liete ambasciate dei beati. Il più bello di tutti intonò un canto: «Alzati inclito martire; alzati e unisciti quale compagno nostro ai cori celesti […]. Oh soldato invincibile e fortissimo fra i forti! Già I tormenti crudeli e duri ti rispettano come vincitore(…) Lascia questo piccolo vaso caduco, fatto di terra, che disfatto si scioglie, e vola libero in cielo»[1]. Prudenzio descrive in dolcissimi versi la morte, o meglio la vittoria, di Vincenzo: «Quindi inclinò appena il capo sui delicati cuscini, allo spirito vincitore le membra, volò in cielo»[2]. 

Questo luminoso esempio di testimonianza cristiana è richiamato da sant’Agostino come una fulgida dimostrazione della vittoria della fede: «Con gli occhi della fede – egli afferma – abbiamo ammirato un magnifico spettacolo: il martire Vincenzo vincitore sempre. Vince a parole, vince nei tormenti, vince nella confessione, vince nella tribolazione, vince quando è arso dal fuoco, vince quando è sommerso nelle acque; vince infine nella tortura, vince da morto»[3].

Rimettere al centro la virtù della fiducia                 

Per non risolvere il culto a san Vincenzo solo sul versante devozionale dobbiamo interrogarci sul valore esemplare del suo coraggio nella comunità ecclesiale come nella società civile. In entrambi i casi si nota uno stridente contrasto e una sorta di inspiegabile paradosso tra l’eredità storico-culturale della Chiesa e della società salentina e il perdurante «residuo di mentalità feudale, innestata nel contesto di un mondo globalizzato»[4]. 

In ambito ecclesiale, questa discrasia vi evidenzia nella difficoltà a dare forma pastorale al principio teologico-spirituale della fraternità sacramentale. Nella sfera civile, il paradosso si manifesta nella complessa problematicità a elaborare una visione condivisa che porti a prassi e ad atti amministrativi concreti e organici. Bisognerebbe, infatti, prestare maggiore attenzione e al contesto più ampio nel quale si svolge la singola azione amministrativa. Positivamente si deve registrare che la difesa comune del territorio e dell’ambiente marino è stato un momento significativo perché ha visto il concorso di tutti. In qualche altro caso, penso alla tragedia della xylella, il camminare in ordine sparso, se non in modo conflittuale, ha provocato a tutti danni incalcolabili.  Si comprende allora l’importanza sul piano pedagogico di avere “punti simbolici comuni” per educarsi ed educare a livello ecclesiale e civile a lavorare di concerto, a “fare rete” a sentirsi responsabili della totalità e non solo della propria parte. 

Per realizzare questo cambio di prospettiva occorre ricuperare e mettere al centro la virtù della fiducia. Viviamo, infatti, in un clima di sfiducia crescente e generalizzato. «In tutto il mondo, e non solo in Occidente, le riserve di fiducia si stanno assottigliando ovvero sta vendo meno una componente indispensabile della vita sociale. Ciò vale soprattutto per quel tipo di fiducia che garantisce al sociale una elevata qualità civile. La fiducia-ponte (bridging), che è apertura al diverso, cala più di quanto cala la fiducia-muro (bondging), accordata solo a quelli del tuo gruppo»[5].

La fiducia è l’ingrediente indispensabile per il buon funzionamento delle istituzioni e per il rapporto tra queste e la società civile. Le ricerche mostrano che il deficit di fiducia nasce dalla crisi del vicinato e della famiglia, dalla difficoltà a intessere relazioni di amicizia e di rapporti interpersonali autentici e duratori, dalle difficoltà che incontrano le scuole e le comunità religiose a proporre itinerari educativi significativi per le nuove generazioni. Questi ambiti di azione sono precondizioni per lo sviluppo di istituzioni più large e più sofisticate: giudiziarie, politiche, sanitarie, economiche. Gli assalti ai medici e agli infermieri, i contrasti violenti nei confronti degli insegnanti, le azioni intimidatorie contro sindaci sono manifestazioni di questo malessere che serpeggia sotterraneamente e che, in alcuni casi esplode, in tutta la sua assurda ferocia.  

Un po’ di storia del territorio salentino

Non possiamo obiettare o acquietare la coscienza per il fatto che si tratta di una piaga e di un fenomeno culturale di più ampio respiro. La storia del Salento ha una sua “identità originale e originaria” fatta di accoglienza, di fraterna vicinanza, di comprensione e compassione. Basti soltanto considerare il modo con cui sono distribuiti i centri abitativi per scorgere l’evidente unità territoriale, storica, linguistica, sociale, economica e culturale.    

Il toponimo “Salento”, dal suo apparire due millenni fa e con alterne vicende, ha attraversato il corso della storia indicando, pur con varie sfumature, un’unica entità amministrativa, storica e geografica. Questa unità è rimasta invariata pur nel passaggio dalla Messapia alla “Calabria” romana, dal “Giustizierato di Terra d’Otranto” alla “Provincia di Terra d’Otranto” e, con l’unità d’Italia (1861), alla “Provincia di Lecce”. La millenaria unità del territorio si è, purtroppo, interrotta con la tripartizione del territorio, voluta e attuata dal fascismo, con la creazione delle province di Brindisi, Lecce e Taranto. 

Alla Costituente (1946-1948), i deputati salentini con a capo Giuseppe Codacci-Pisanelli, non potendo ripristinare l’anacronistica denominazione di “Terra d’Otranto” o quella limitativa di “Provincia di Lecce”, proposero la costituzione della “Regione Salento”. In seguito, con l’istituzione dell’Università del Salento e la denominazione “Aeroporto del Salento”, è ritornato in auge l’uso di parlare del “Grande Salento”, come sintesi lessicale per indicare geograficamente l’intera penisola salentina[6].  Secondo il compianto on. Giacinto Urso, parlare di “Grande Salento” «non è una nostalgia o una moda, ma una necessità». 

Si badi bene “Grande Salento” e non “Terra d’Otranto”, perché quest’ultimo toponimo non è più in grado di esprimere l’attuale geografia amministrativa. “Terra d’Otranto” richiama, infatti, l’idea di un territorio autonomo, staccato dal resto della regione Puglia e dominato, di volta in volta, da un capoluogo che storicamente ha prevalso sugli altri: Brindisi, Otranto, Taranto, Lecce. La “Terra d’Otranto” non esiste più, mentre il “Grande Salento” si può e si deve ancora costruire. Dopo un secolo di tripartizione fascista della penisola salentina, brindisini, leccesi e tarantini si identificano con le rispettive province e difficilmente sarebbero disposti a tornare indietro. L’inefficacia dei quattro protocolli d’intesa sottoscritti negli ultimi 25 anni tra le istituzioni delle tre province testimonia non che i contenuti programmatici fossero sbagliati, ma che alla fine sono prevalsi gli interessi di parte sul bene comune.

 Per questo nel 2020, i tre comuni capoluogo delle rispettive Province di Brindisi, Lecce e Taranto insieme all’Università del Salento hanno firmato il protocollo d’intesa Terra d’Otranto: dalle radici il futuro. Nei tre anni successivi non è cambiato niente e il protocollo è rimasto lettera morta. Alla scadenza del protocollo, il 20 settembre 2024, l’UniSalento ha presentato, a Lecce, alcune proposte contenute nel “Masterplan di Terra d’Otranto” per dare corso al progetto di sviluppo territoriale. In realtà, l’aspirazione attuale a rifondare il “Grande Salento” rimane un auspicio carico di buone intenzioni e di rinnovate proposte attuative che però rimangono solo “progetti cartacei”.  

Il Capo di Leuca, area interna, porta sud dell’Europa e avamposto sul Mediterraneo

Il nostro territorio diocesano assume il nome di “Sud-Salento” o “Capo di Leuca” quale punto più estremo del Salento e della Puglia fino al mitico promontorio japigio, che si protende tra il mare Adriatico ed il mare Jonio con la Punta Meliso, che fa da spartiacque. Questa area geografica, che si trova a Sud di una ipotetica retta che congiunge Ugento a Tricase, è una sorta di «città diffusa»[7].  

Il nome Finibus terrae dato a questa lingua di terra protesa tra due mari, evoca emozioni ancestrali che affondano nella storia più remota del Mediterraneo. Attraversare questo territorio significa ripercorrere le orme dei pellegrini in marcia verso la Terra Santa; richiama i tentativi di conquista da parte dei saraceni; consente di assaporare l’antica civiltà greca e la saggezza di un territorio ponte tra civiltà differenti. 

La specifica identità del Capo di Leuca all’interno dell’intero territorio salentino si caratterizza per tre aspetti, differenti e interdipendenti tra di loro: essere nello stesso tempo area interna, porta sud dell’Europa e avamposto nel Mediterraneo. Queste tre dimensioni, contrastanti e divergenti, costituiscono l’aspetto proprio del Capo di Leuca. 

a) Area interna

Come le altre “aree interne”, anche il Capo di Leuca, nonostante i profondi cambiamenti, rimane nella sua fragilità un indispensabile baluardo contro l’omologazione dei costumi, l’uniformità dei riti, la perdita delle diversità biologiche e le differenze linguistiche. Il nostro territorio esprime alcune caratteristiche peculiari: custodisce la storia locale e una parte non secondaria del patrimonio paesaggistico, conserva alcune riserve naturali e non poche tradizioni culturali, promuove un’identità collettiva nella lingua, nei costumi e negli usi, oltre che nelle tradizioni folcloristiche e culinarie.

Nel messaggio ai vescovi delle “aree interne”, papa Francesco li ha esortati con queste parole: Camminate «tutti insieme, in unità e senza campanilismi, non stancatevi di porre gesti di attenzione alla vita umana, alla salvaguardia del creato, alla dignità del lavoro, ai problemi delle famiglie, alla situazione degli anziani e di quanti sono ai margini della società»[8].

I vescovi, nel loro messaggio, hanno sottolineato che le aree interne sono «vaste porzioni di territorio, dotate di paesaggio e di un ricco patrimonio storico-artistico ed enogastronomico, dove le relazioni umane sono vissute in modo autentico, si rivelano infatti di una ricchezza sorprendente anche allo sguardo più distratto. Sono questi i luoghi […] che hanno la forza di essere comunità, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova […]. Il centro, infatti, si capisce dalle periferie […]. È necessario, perciò, superare l’ottica ristretta del campanile, per aprirci a forme nuove, capaci di valorizzare al meglio le risorse a nostra disposizione»[9]. In modo particolare, i vescovi hanno espresso il comune desiderio di «aiutare i nostri giovani che vogliono restare, cercando di offrire loro solidarietà concreta, e ci impegniamo ad accompagnare quelli che vogliono andare, con la speranza di vederli un giorno tornare arricchiti di competenze ed esperienze nuove»[10].

Per realizzare questi obiettivi, bisognerebbe mettere in atto quegli interventi che sono noti già da tempo: «Migliorare infrastrutture, servizi pubblici e sistemi di trasporto per rendere il Sud più attrattivo; favorire la creazione di nuove imprese attraverso agevolazioni fiscali  e accesso facilitato al credito; investire nelle università e nella formazione per attrarre e trattenere talenti; rafforzare le istituzioni e la legalità per garantire un ambiente sicuro per gli investimenti ; valorizzare le risorse del territorio come il turismo, l’agroalimentare e le energie rinnovabili per creare occupazione»[11].

b) Porta sud dell’Europa e avamposto nel Mediterraneo

La vera riforma da attuare è promuovere una nuova comprensione del territorio e risvegliare la consapevolezza, civile ed ecclesiale, orientata a definire una visione comune e condivisa, superando ogni tipo di frammentazione angusta e settoriale di piccolo cabotaggio. La nuova impostazione culturale del Capo di Leuca dovrebbe essere definita sul fondamento di una verità di carattere storico-geografico: rovesciare la prospettiva ereditata dal recente passato di “estremo lembo della Puglia” e assumere la considerazione e la denominazione, di “porta sud dell’Europa” e avamposto nel Mediterraneo.

In una visione politica di largo respiro, bisogna evidenziare che, negli ultimi anni, il Mediterraneo è ridiventato nuovamente un centro della storia mondiale. Mentre permangono motivi di scontri, di migrazioni e di focolai di guerra, il Mediterraneo ha ripreso e consolidato il suo ruolo strategico, in quanto mare allargato e mare conteso, per la particolare rilevanza della direzione lungo la quale si sviluppano le strategie di crescita delle principali economie mondiali. Sul piano geo-economico, infatti, il Mediterraneo, interfaccia il grande mercato Atlantico e Nord Europeo a quello Asiatico e Africano. 

All’interno del bacino del Mediterraneo, il Mezzogiorno occupa una posizione geografica molto vantaggiosa. I porti del Sud Italia avrebbero la possibilità di ricoprire il ruolo di porta sud dell’Europa, rappresentando la naturale piattaforma logistica di alcune grandi direttrici di collegamento che dal Canale di Suez raggiungono il continente europeo. In questa prospettiva, il Mezzogiorno si qualifica come anello di connessione tra Asia ed Europa, rappresentando una potenziale piattaforma di sviluppo del territorio meridionale. La recente istituzione della ZES unica potrebbe rappresentare uno strumento di rilancio della competitività territoriale e logistica meridionale. Occorre ragionare secondo questa nuova prospettiva culturale e geopolitica. 

Con la costituzione, nel 2016, della Fondazione di Partecipazione PCE “Terre del Capo di Leuca – De Finibus Terrae” abbiamo inteso incoraggiare la promozione di questo nuovo modo di comprendere l’identità del Capo di Leuca. La Carta di Leuca e i Cammini di Leuca sono due iniziative che abbiamo messo in atto per uno scopo formativo e pedagogico. Nel mezzo dell’estate, la Carta di Leuca rappresenta un laboratorio permanente, interculturale e interreligioso, un campo di formazione, di volontariato e di cammino condiviso con la marcia notturna Verso un’alba di pace dalla tomba del venerabile don Tonino Bello ad Alessano alla basilica santuario di Santa Maria di Leuca, cuore del Mediterraneo. I “Cammini di Leuca” intendono promuovere la conoscenza del territorio valorizzando una nuova forma di turismo ecosostenibile in sintonia con l’ambiente, la natura e la ricerca di paesaggi incontaminati, grazie alla miscela fra la valorizzazione delle diversità territoriali e lo sfruttamento delle economie di diversificazione.

Promuovere segni di speranza nel nostro territorio

Dentro questa cornice storico-geografica, siamo chiamati scrutare i segni dei tempi [12] e a trasformarli in segni di speranza[13]. Il primo segno, particolarmente rivelante del nostro ambiente, si riferisce ai giovani e agli anziani. Se per i primi si parla di «emergenza educativa» (Benedetto XVI) o addirittura di «catastrofe educativa» (papa Francesco), per gli anziani si sottolinea la situazione di abbandono e di solitudine in cui versano molti di loro. Occorre una maggiore vicinanza ad entrambi per aiutare i giovani a coltivare i loro sogni e a realizzare i loro progetti e per valorizzare il tesoro di esperienza e di sapienza della vita che gli anziani hanno maturato nella loro esistenza. Bisogna incoraggiare tutte le esperienze formative e aggregative, come l’Oratorio, per rinsaldare in tutti la virtù della speranza. 

Il secondo segno riguarda la fragilità delle relazioni familiari e la custodia della vita. In riferimento alle relazioni di coppie si evidenza l’accresciuta tendenza alla “liquidità” delle relazioni coniugali. D’altra parte la relazione sullo “stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza”, inviata ai presidenti delle Camere riferita all’anno 2022, certifica l’aumento degli aborti in Italia e delle pratiche farmacologiche, mentre diminuiscono gli obiettori di coscienza. La perdita del desiderio di trasmettere la vita e il preoccupante calo della natalità sono il segno più evidente di un offuscamento della speranza. Un piccolo segno in controtendenza è quanto si registra a Tiggiano dove c’è stato un leggero aumento della popolazione e delle nascite. Occorre sostenere il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore. Si comprende allora l’importanza dell’attività del “Consultorio familiare” per sostenere la relazione coniugale e familiare e promuovere il rispetto della dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale. 

Il terso segno riguarda l’attenzione agli ammalati, alle case di cura e, in modo particolare, all’Ospedale e all’Hospice di Tricase. Segni di speranza si manifestano attraverso la vicinanza e la visita a tutti coloro che vivono la malattia o altre forme di fragilità. Bisogna anche rinnovare la gratitudine a tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili. Come comunità cristiana e società civile dovremmo circondare di maggiore attenzione l’Ospedale e l’Hospice per l’importante ruolo che queste due istituzioni esercitano nel nostro territorio sul piano assistenziale, socio-sanitario ed economico. 

Il quarto segno si riferisce al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento: precarietà e mancanza di lavoro, ludopatia e usura. C’è quasi il rischio di abituarsi e rassegnarsi a queste forme di fragilità. In alcuni casi, si tratta di difficoltà nel disporre di un’abitazione o del necessario sostentamento per la propria vita e quella dei familiari. Non mancano situazioni di sofferenza per l’esclusione sociale e l’indifferenza di tanti. Sotto questo profilo, l’attività della “Fondazione Vito de Grisantis” e dei servizi sociali dei singoli Comuni costituiscono un utile strumento di intervento almeno per alleviare la sofferenza nei casi più gravi.

Il quinto segno riguarda coloro che sono in carcere. Sebbene la Casa circondariale è a Lecce nondimeno il tema interessa anche la nostra comunità. Una volta, anche a Ugento c’era il Carcere mandamentale. Le condizioni nella quale vivono i detenuti richiede una forma di assistenza da parte della comunità ecclesiale e civile, naturalmente nelle forme consentite dalla legge. L’apertura di una Porta Santa da parte di papa Francesco in un carcere romano è un monito per tutti. 

Nel nome di san Vincenzo, il Giubileo sia per ognuno di noi un tempo propizio per ravvivare i segni di speranza nelle nostre comunità. Sarà il modo migliore per vivere il pellegrinaggio giubilare insieme agli altri fratelli sempre proni a dare ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15).


------------------------------------------------------------------------------------------

[1] Exsurge, martyr inclyte, / exsurge securus tui: / exsurge, et almis coetibus / noster sodalis addere […]. / O miles invictissime, / fortissimorum fortior, / jam te ipsa saeva, et aspera / tormenta victorem tremunt […]. / Pone hoc caducum vasculum, / compage textum terrea, / quod dissipatum solvitur; / et liber in coelum veni.
[2] Ergo, ut recline mollibus / rejecit aulaeis caput, / Victor relictis artubus / caelum capessit spiritus
[3] Agostino, Discorso, 274, 1.
[4] V. Angiuli, La parrocchia comunità che educa con gioia e passione. Lettera e decreto alla Chiesa di Ugento – S. Maria di Leuca a conclusione della prima visita pastorale, Edizioni VivereIn, Monopoli 2020, n. 41, p. 55.
[5] L. Diotallevi, La fiducia, un investimento a lungo termine, in “Il Messaggero”, giovedì, 16 gennaio 2025, p. 18.
[6] Cfr. L. De Matteis, Storia del Grande Salento, Edizioni Grifo, Cavallino 2023.
[7]  V. Angiuli,
[8] Francesco, Messaggio ai vescovi aree interne, Roma, 12 agosto 2022.
[9] Vescovi delle Aree interne, Messaggio alle nostre Chiese, Benevento, il 16 e 17 luglio 2022.
[10] Ivi.
[11] M. Mazza, La nostra battaglia contro la fuga dei giovani dal Sud, editoriale di “La Gazzetta del Mezzogiorno, giovedì, 2 gennaio 2025, p. 1.
[12] Cfr. Gaudium et spes, 4.
[13] Cfr. Francesco, Spes non confundit, 7-15.