Giornata della Vita consacrata 2025
04 Febbraio 2025Custodire Cristo nel cuore e testimoniarlo con la vita
Omelia di S.E. mons. Vito Angiuli nella festa della presentazione di Gesù al tempio.Basilica di Leuca, 2 febbraio 2025.Cari consacrati e consacrate,
è in un tripudio di luce che celebriamo questa liturgia eucaristica. Sono due le ricorrenze liturgiche ed ecclesiali che si concentrano in questo giorno, un intreccio di feste nel contesto dell’anno giubilare. Ricorre, infatti, la 47ª Giornata Nazionale per la Vita ((istituita nel 1978)) che ha come tema Trasmettere la vita, speranza per il mondo e la 29ª Giornata mondiale della vita consacrata (istituita san Giovanni Paolo II nel 1997) sul tema Pellegrini di speranza, sulla via della pace. Le due tematiche si colorano del tema della speranza che caratterizza il Giubileo. Al centro vi è dunque il riferimento alla virtù della speranza come luce orientativa della vita e del cammino di fede. Non di una debole speranza, ma di una speranza che non delude.
In questa prospettiva si può dire che vita e vocazione, speranza e consacrazione formano due endiadi: la vita è una vocazione, la vocazione è chiamata alla vita; la speranza è l’essenza della consacrazione, la consacrazione è espressione della speranza. Consacrarsi significa fondare la propria vita sulla speranza. Sperare non è nient’altro che vivere, dare senso al presente, camminare fondandosi su ragioni per andare avanti. La speranza è il senso e la forza che dà energia al viandante. «Il mestiere dei religiosi – diceva Miguel de Unamuno – non è vendere il pane, ma essere lievito». In tal modo la vita si autocomprende come una chiamata, una vocazione a rendere ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15).
La luce del mistero della presentazione di Cristo al tempio
La festa della Candelora segna la fine delle festività natalizie e l’inizio del percorso pasquale. Simbolicamente rappresenta il punto di intersezione tra il Natale e la Pasqua: la tappa intermedia tra la manifestazione della luce del Verbo incarnato e il trionfo della luce di Cristo Risorto. Le candele accese simboleggiano la luce di Cristo che si diffonde nel mondo attraverso la vostra vita di consacrati e consacrate. La vostra esistenza, infatti, deve essere trasfigurata dalla bellezza senza tempo dello splendore di colui che è «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3).
Concepita originariamente come festa della purificazione della Madonna ha successivamente assunto un significato cristologico concentrandosi sulla figura di Gesù. Cristo entra nel tempio di Gerusalemme, luogo per eccellenza della preghiera e del culto, voluto da Jahvé per custodire l’arca dell’alleanza e favorire un particolare rapporto di familiarità con Israele. Cristo entra per santificare, per riportare alla sua destinazione originaria la sua dimora. Il tempio di Gerusalemme prefigura la Chiesa e l’anima dell’uomo. L’edificio esterno è il riflesso esteriore di ciò che vive nella comunità cristiana e nel sacrario interiore della nostra anima. La dimora prediletta di Dio è la vita dell’uomo, con il quale egli vuole instaurare un’intima comunione.
Celebrando in questa basilica mariana, un nuovo splendore si aggiunge alla festa liturgica: il bagliore accecante della luce di Cristo si riflette sul volto della Vergine Maria. Ella, infatti, «è esempio sublime di perfetta consacrazione, nella piena appartenenza e totale dedizione a Dio. Scelta dal Signore, il quale ha voluto compiere in lei il mistero dell’Incarnazione, ricorda ai consacrati il primato dell’iniziativa di Dio. Al tempo stesso, avendo dato il suo assenso alla divina Parola, che si è fatta carne in lei, Maria si pone come modello dell’accoglienza della grazia da parte della creatura umana»[1].
La vita consacrata, dono alla Chiesa per il mondo
Il Concilio ecumenico Vaticano II, per la prima volta, si è pronunciato direttamente sullo status ecclesiale della vita consacrata, riconoscendola come parte viva e feconda della vita di santità e di comunione della Chiesa. La costituzione dogmatica Lumen gentium, dopo aver precisato che la consacrazione mediante i consigli evangelici presuppone la consacrazione battesimale, ne richiama il valore quale segno che «può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana» e quale forma di vita che «imita più fedelmente e rappresenta continuamente nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò venendo nel mondo per fare la volontà del Padre». A questo punto, il documento conclude, non senza una certa solennità, che «lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità»[2].
Successivamente Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata (1996), ha affermato che «la vita consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito»[3]. Inoltre ha sancito che «la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura. Ciò appare con evidenza dal fatto che la professione dei consigli evangelici è intimamente connessa col mistero di Cristo, avendo il compito di rendere in qualche modo presente la forma di vita che egli prescelse, additandola come valore assoluto ed escatologico»[4].
Legando la forma di vita dei religiosi al significato autentico della santità, il Papa ha sottolineato che la vita consacrata viene a rappresentare l’attuazione più compiuta del fine stesso della Chiesa, che è appunto la santificazione dell’umanità[5]. Possono scomparire le forme di vita consacrata, ma non la vita consacrata. Essa è necessaria e non potrà mai mancare. Le realizzazioni storiche della vita consacrata sono di fatto mutevoli, ma la vita consacrata come tale nella Chiesa non potrà mai venir meno[6]. Tutta questa insistenza sull’appartenenza della vita consacrata alla Chiesa può essere efficacemente sintetizzata attraverso l’immagine del dono: «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa»[7].
La vita consacrata è il dono fatto alla Chiesa da Cristo, perché non manchi mai ad essa la testimonianza della sua presenza. Il linguaggio del dono mette più chiaramente in luce ciò che è proprio della vita consacrata, perché chiama in causa direttamente l’agire dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo la fonte del dono; è lui che suscita incessantemente forme di vita consacrata che arricchiscono nella loro molteplicità la Chiesa; è lui che, elargendo la varietà dei carismi, garantisce la crescita della Chiesa nella comunione. L’opera dello Spirito è di attrarre il cuore dell’uomo a Cristo, di sostenerlo nel cammino di conformazione a lui, perché diventando cristiforme, il consacrato assicuri alla Chiesa il prolungamento della speciale presenza del Risorto[8].
La Chiesa riconosce che la vita consacrata “serve” moltissimo ad assicurare l’assistenza e la cura alla vita in ogni sua fase, dalla fragilità della nascita e dell’infanzia alla fragilità della malattia e della vecchiaia; serve a promuovere una cultura fondata sui valori evangelici; serve a portare coraggiosamente l’annuncio del vangelo in ogni terra; serve a testimoniare la prossimità e la condivisione verso ogni forma di povertà[9]. Tuttavia se si prescindesse dal suo fondamento teologico, se cioè non si tenesse in giusta che è un dono per l’edificazione della Chiesa, la sua comprensione rimarrebbe ancorata a una interpretazione più o meno utilitaristica, capace solo di valutare il modo in cui essa incide nell’ambito sociale o le soluzioni, spesso solo di comodo, che può offrire nell’ambito ecclesiale.
L’orientamento escatologico della vita consacrata
La vita consacrata è, invece, una «speciale immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo sposo»[10].
L’orientamento escatologico è stato e sarà sempre essenzialmente presente nella vita cristiana. Pertanto la vita consacrata è animata dalla duplice dialettica della “presenza in assenza” di Cristo rispetto alla Chiesa e del “già e non ancora” dei cristiani rispetto alla loro glorificazione. Da queste due dialettiche si sprigiona la nostalgia del paradiso, il desiderio di essere sempre con il Signore risorto e asceso al cielo. Cristo, infatti è venuto per realizzare la fine della storia e ricapitolare ogni cosa nel suo mistero.
In questa prospettiva, tocca a voi, cari consacrati e consacrate, di vivere come la Maria, il duplice movimento caratterizzato dalla coppia dei verbi: accogliere e custodire, riflettere e offrire. Si tratta di un movimento vitale, una sorta di “sistole e diastole” che consente di “mantenere in forma” la vita battesimale e dare splendore a quella consacrata. Occorre innanzitutto accogliere e custodire in sé la luce di Cristo. L’identità del cristiano consiste essenzialmente nel realizzare un incontro trasformativo con Cristo[11]. Quello che vale per ogni cristiano vale soprattutto per la persona consacrata.
La sequela di Cristo si caratterizza anche per la disponibilità a riflettere nel mondo la luce di Cristo. Egli ci ha lasciato questo comandamento: «Voi siete la luce del mondo […]. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,14,16). Anche l’apostolo Paolo esorta: «Risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la parola della vita» (Fil2,15). Voi consacrati, pertanto, siete chiamati a “venire alla luce” e a operare un discernimento che si concretizza nel “vedere la luce”. Il vostro impegno fondamentale è quello di “vivere nella luce” e “diffondere la luce nel mondo” fino a “diventare vi stessi luce” e a “rimanere per sempre nella luce”.
--------------------------------------------------------------------------------------
[1] Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 28.[2] Lumen gentium, 44.[3] Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 1.[4] Ivi, 29.[5] «Quanto alla significazione della santità della Chiesa, un’oggettiva eccellenza è da riconoscere alla vita consacrata, che rispecchia lo stesso modo di vivere di Cristo. Proprio per questo, in essa si ha una manifestazione particolarmente ricca dei beni evangelici e un’attuazione più compiuta del fine della Chiesa che è la santificazione dell’umanità», ivi, 32.[6] Decisiva è la distinzione sottolineata da Benedetto XVI tra origine della vita consacrata (la persona di Cristo come fondamento) e l’origine delle diverse forme di vita consacrata, lungo la storia della Chiesa, in forza dei diversi fondatori, cfr. Benedetto XVI, Discorso ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile (Regione Sul II) in visita «ad limina apostolorum», venerdì, 5 novembre 2010[7] J. M. Bergoglio, Intervento al sinodo sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, XVI Congregazione generale, 13 ottobre 1994.[8] «Lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto», Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 9.[9] Come ha giustamente annotato Andrea Riccardi, «senza la “foresta” dei religiosi, composta da “alberi” tanto diversi tra loro, l’ecologia spirituale della Chiesa cambierebbe in modo radicale: si allenterebbero le dinamiche e si ridurrebbe lo spessore sociale del cattolicesimo. Questo è un grande problema ai nostri giorni, di fronte alla crisi di intere generazioni e alla riduzione dell’influenza dei religiosi nella vita della Chiesa. Cosa sarà la Chiesa cattolica, quando il numero dei religiosi diminuirà o, addirittura, in taluni ambienti e paesi verrà azzerato?», A. Riccardi, Vita consacrata. Una lunga storia, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2015, p. 20.[10] Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 7.[11] Cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, 1.